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Fermo: Settima Arte: Il Giurato n° 2. Un gran film

Più invecchia e più ha qualità. L'ultimo film di Clint Eastwood è un capolavoro. Sto parlando di un 94 enne che non molla, anzi rilancia. E sto parlando ovviamente di Giurato n° 2. L'anziano cow boy dietro alla macchina da ripresa era stato guardato male dalla Warner Bross che voleva transitare la pellicola quasi solo in streaming. Invece no! Invece il pubblico ha preso d'assalto i pochi cinema statunitensi dove era uscito. E il box Office ha fatto il resto: successo al botteghino.

Perché? Perché, in nemmeno due ore, il Giurato n° 2 tiene incollati gli spettatori alle poltrone, perché non si registra mai una caduta di tono, mai una smagliatura, perché pone domande che colpiscono allo stomaco e fanno riflettere in un mondo che non lo fa più, perché distrugge l'ideologia di chi promette sistemi perfetti, perché la perfezione non è di questo mondo. La pellicola è incalzante, drammatica. Un legal drama, è stato scritto. Meglio, direi, una quasi tragedia greca. Una frase può farci da bussola: la giustizia è una verità in movimento, che vuol dire in progressione, mai definitiva, adatta a luoghi, personaggi, vicende e dunque ai mutamenti. Alla fine, una verità evanescente. E' questa la tesi del Texano dagli occhi di ghiaccio. Per cui la giustizia non garantisce, non è esauriente, non è perfetta, come si scriveva. Ma non lo è perché ad essere imperfetti sono gli uomini.Non lo è l'avvocato dell'accusa Faith Killebrew (Toni Colette), che vuole condannare il giovane James Sythe (Gabriel Basso), che è stato visto litigare nel parcheggio di un locale con la fidanzata Kendall Carter più tardi ritrovata cadavere in un ruscello. Faith è arcisicura che James sia l'omicida. Ha diverse prove in mano, ma nessuna è schiacciante. Poco male. Lei sta pensando alla propria carriera di procuratrice. Per cui deve condannare con pena esemplare. I suoi elettori vogliono una donna dal pugno duro. A questo punto, un colpevole occorre ad ogni costo. Un capro espiatorio è necessario.Della colpevolezza sono anche convinti quasi tutti i giurati. Lo sono perché hanno fretta di concludere il processo: ci sono i figli a casa, c'è il lavoro da riprendere, c'è la rabbia per una precedente ingiustizia subita. E James risponde precisamente all'immagine del malvagio: non è uno stinco di santo, faceva parte di una gang, per cui è sicuramente lui il responsabile della morte della fidanzata. Il ritratto del delinquente è calzante. Il male che ci segue ovunque, che fa diventare la persona male essa stessa. Più tardi, nelle discussioni, arriveranno i primi tentennamenti.Ma la figura intorno a cui s'incentra il film è proprio quella del Giurato n° 2. L'ex alcolista redento Justin Kemp (Nicholas Hoult) si rende conto, mentre il processo va avanti, che la morte della giovane Kendall potrebbe essere stata provocata proprio da lui. Che fare, allora? Accusarsi rischiando l'ergastolo dati i precedenti d'alcolismo, o tacere anche perché sua moglie Allison Crewson (Zoey Deutch) è di nuovo incinta dopo aver abortito due gemelli?Justin è macerato dal dubbio. Preferisce non parlare. Però si adopera in ogni modo per cambiare il giudizio affrettato e interessato degli altri giurati, vorrebbe salvare James. Finché anche lui sarà ricattato dai propri affetti e dal proprio tornaconto. E tacerà.Solo demoni e solo ingiustizia? No. Emerge pian piano in taluno ancora la coscienza di voler andare più a fondo, di capire meglio, oltrepassando il proprio interesse, per un senso di verità vera. C'è ancora una coscienza buona, una umanità non sperduta. Il finale è da grande regista: solo due sguardi. Ma molto espliciti. Che inchiodano. Sabato, 23 novembre 2024   Puoi commentare l'articolo su Vivere Fermo


Adolfo Leoni