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Calzature: vendite in calo. Enrico Bracalente: guardare agli errori del passato per invertire il trend negativo

In un mondo globalizzato saper fare non è sufficiente; indispensabile saper commercializzare ed internazionalizzare il brand

Alla fine del MICAM, negli ultimi anni si sentiva dire spesso: "luci ed ombre" per la calzatura; quest'anno più incertezza del solito.
Per il 2018, il pil dell'azienda Italia è stato rivisto al ribasso e la manifattura italiana, in particolare la calzatura, ha registrato un consistente rallentamento.
Ancora ferme le vendite sul mercato italiano.
Ad Enrico Bracalente abbiamo rivolto alcune domande. Cosa sta succedendo e perchè l'Italia stenta a ripartire nonostante il brand made in Italy è molto amato nel mondo.
In Italia ci sono piccole e medie aziende che prese singolarmente non hanno la forza economica per internazionalizzare il proprio brand.
Non esagero nel dire che già una trentina di anni fa parlavo di aggregazione.
In un mondo globalizzato le piccole aziende devono necessariamente fare squadra ed aggregarsi.
A questo avrebbero dovuto pensare le nostre Associazioni di categoria che, tanto per usare un eufemismo, si sono occupate di altro.
Esse avrebbero dovuto fare quanto è stato realizzato con Vinitaly che ha consentito al comparto enologico di raggiungere in fatturato livelli altissimi un tempo impensati ed appannaggio dei francesi.
Tanti i musi lunghi al MICAM; ordinativi in frenata. Funzionano ancora le rassegne di questo tipo e quali altre strade percorribili per attrarre buyer?
E' qualche anno che non partecipo al MICAM che così com'è la ritengo una manifestazione superata.
Rispetto ai costi di partecipazione, i benefici attuali sono davvero scarsi. Così com'è non funziona; come ogni sistema di vendita avrebbe bisogno di un restyling. Io ho scelto di invitare i Buyer nei diversi showroom dislocati in vari paesi; credo che questo possa essere un modo per spiegare nei particolari le caratteristiche dei nostri prodotti ed i servizi che la nostra azienda è in grado di fornire.
E' facilmente intuibile che, in fiera, questo tipo di approccio è impossibile.
In tanti dicono che la qualità richiesta dal mercato è scesa di molto e che, tanto per fare un esempio, le sneakers che vanno per la maggiore, non possono essere prodotte in Italia; quanto c'è di vero in questa considerazione.
No, io non credo che il problema sia il costo della forza lavoro.
Per commercializzare il prodotto servono un brand ed una ben strutturata rete di vendita. Guardate Gucci: produce sneakers in Italia e le vende molto bene. Siamo in tanti a saper produrre ma i francesi, che stanno acquistando aziende manifatturiere italiane, sanno commercializzare.
Questo dovrebbe farci riflettere; i brand italiani affermati si contano sul palmo della mano.
Ciò sta ad esplicitare che in passato non abbiamo investito adeguatamente nella promozione del prodotto.
In momenti di crisi come questi si continua poi ad elogiare marchi italiani che producono in Vietnam o in Cina consentendo loro di fregiarsi del made in Italy al pari di chi produce in Italia. Questo non va proprio bene.
Il marchio Nero Giardini, conosciuto in Italia sta cercando di affermarsi anche all'estero. Quante e quali le difficoltà finora incontrate.
Per affermare un marchio ci vuole più o meno un decennio.
All'estero stiamo replicando le strategie messe in campo per essere riconoscibili nel mercato italia.
Facciamo piani aziendali a media e lunga scadenza; l'idea è quella di avere un venditore ogni 10-15 milioni di abitanti in ogni stato europeo.
Bisogna per forza di cose investire in risorse umane ed in comunicazione per la promozione del brand.
Come ogni brand, il marchio Nero Giardini è soggetto a contraffazione; come combattere questo fenomeno che brucia risorse di chi investe continuamente in ricerca per proporre, stagione dopo stagione, sempre idee nuove.
I prodotti taroccati sono sempre esistiti e combatterli non è cosa semplice. I nostri prodotti non vengono clonati ma rifatti a prezzi decisamente inferiori in diverse zone del mondo dove la manodopera è meno cara; al Ministro Di Maio ho consigliato di bloccare questi prodotti nei paesi di origine cercando di disincentivare questo tipo di attività.
Internet dimostra, anno dopo anno, di affermarsi sempre più come canale per gli acquisti: cosa ne pensa?
Non sono favorevole alle vendite on line essenzialmente per due ragioni: credo che debbano essere tutelati sia il consumatore finale che il commerciante. Non è secondo me deontologicamente giusto che un consumatore fidelizzato al mio brand acquisti in negozio un prodotto e poi, qualche tempo dopo, scopra che su una piattaforma on line lo stesso articolo venga venduto con uno sconto del 30- 40 %. Questo modo di operare non mi sembra corretto anche nei confronti di chi allestisce un negozio e si fa carico dei costi di gestione considerevolmente più alti di quelli necessari per il funzionamento dell'e-commerce.Puoi commentare l'articolo su Vivere Fermo


Lorenzo Bracalente